martedì 27 settembre 2016

Insieme ai pastori kashmiri

La catena del Kolahoi mi lascia senza respiro. Ad accorciare il fiato non sono gli oltre 3000 metri dove ora mi trovo e neppure il primo, emotivo, flutto. E' la montagna più bella del Kashmir, il panorama austero che la circonda, il calore della famiglia di pastori che ci ha da poco accolti.
Al termine del secondo giorno di trekking attorno al Kolahoi l'amico e guida Manzoor mi introduce nella tenda dei pastori. Dai modi impacciati ed accoglienti degli ospiti, e dal fatto che Manzoor raramente accompagna persone nelle sue montagne, capisco che si tratterà di una grande esperienza di condivisione. E di conoscenza.
La famiglia è composta da padre, madre e due figli. Quando non si trovano nei pascoli i figli, un ragazzo e una ragazza, frequentano la scuola. L'uomo ha occhi chiari e penetranti, fisionomia centro-asiatica, di poche, accorte, parole. Il contrario della moglie chiacchierona. La figlia sedicenne rimane in tenda aiutando la madre ed il padre. Il ragazzo invece sale in alto con le pecore ed un altro pastore alle loro dipendenze.
Siamo arrivati relativamente presto in questa specie di campo base famigliare, quindi possiamo consumare un pranzo tardivo tutti insieme. Dopo il rituale tè salato, finalmente mangio un pasto con piacere: il curry che accompagna il riso è composto da verdure e pezzi di formaggio di pecora. La madre cucina su un piccolo forno di terracotta alimentato a legna.
Fuori c'è il sole, sotto la tenda la temperatura è perfetta. Facciamo un riposino con una montagna di coperte ed abiti come schienale, semisdraiati sui tappeti. Dall'inutilizzabile telefono mobile del padre escono
concilianti musiche kashmire. Un triangolo di panorama fa entrare nella tenda immagini di cespugli, neve decaduta, ed il rumore del fiume Lidder che viene dai ghiacciai. Questa straordinaria ordinarietà mi confonde ed esalta. Sono per il secondo flutto, il primo rischia di travolgere, offendendo le percezioni.

La tenda dove dormiremo per due notti è a perimetro rettangolare, grande abbastanza per ospitare 6-7 persone. Nei suoi tre lati è riparata da pietre accataste, mentre l'entrata, dove è situata la cucina, guarda verso valle. La piccola cucina è attorniata da legna da ardere pronta all'uso. I due teli impermeabili che la coprono sono sostenuti da pali di betulla. Da uno spiraglio esce a fatica il fumo prodotto dal focolare.

Con Manzoor esco a fare una camminata. Il pomeriggio è ormai avanzato. Saliamo un poco la valle alla ricerca del nostro cavallo lasciato libero a pascolare. Manzoor mi mostra una sorgente d'acqua dalla quale fare rifornimento. Dopo la tenda e una fascia di grossi massi, la stretta conca offre alle iridi nevai situati sul lato nord e cime che tentano inutilmente di serrare la visuale alla montagna di 5400 metri che annienta il fiato.
Tutto è uguale ed al contempo diverso: i monti, le rocce, i ghiacciai, i prati; tranne qualche particolare, le montagne esotiche che ho di fronte mi risultano nel loro insieme familiari... Sono le persone, le abitazioni, il modo di vivere degli esseri umani che confondono ancora una volta, riportandomi in un'altra vita, in un mondo passato che torna, che si riproduce quasi inalterato da migliaia di anni.

I ghiacciai del Kolahoi presto splenderanno della luce obliqua del tramonto.

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